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La nostra storia

 

L’Olivella come dice la leggenda è riferita ad “olim-villa” antica presenza di una villa di proprietà della famiglia Sinibaldi da cui ebbe i natali Santa Rosalia.

Contrada costituita dall’omonimo cortile e piazza dove si congiungono le vie Monteleone, G. Pataria, Giacalone, Orologio, Bara e Concettina Ramondetta Fileti che tutti quando citano queste vie aggiungono il toponimo di Olivella come riferimento.

L’antico vicolo del Fico all’Olivella cambiò nome per accettare la presenza della Congregazione della Scuola pratica della Virtù cristiana sotto il titolo del SS. Salvatore che in questo vicolo, dopo un lungo e incostante peregrinare trovò nei primi anni del settecento la sua dimora definitiva, dove ancora risiede, e in questa sede fu ufficializzato il culto al SS. Crocifisso.

Dal 1704 anno in cui fu possibile celebrare definitivamente la prima messa all’interno del semplice e modesto oratorio voluto insistentemente dai confrati che si adoperarono per costruirlo, difatti la prima pietra si poté porre soltanto il 18 agosto del 1702 dopo la stipula del rogato di patrimonio.

Ma furono soprattutto i fedeli dell’Olivella che chiamarono immantinente “ U Signuruzzu” in forma affettiva il simulacro del SS. Crocifisso e con tale denominazione il vicolo per distinguerlo da un altro esistente lungo il corso del fiume Kemonia, luogo di malaffare in cui abitavano donne di maloceto. Il simulacro del Venerato “Signuruzzu” appartenente alla confraternita del SS.Crocifisso, è veramente un’opera che chi lo ha scolpito sicuramente doveva essere una persona fortemente religiosa che ispirato dal divino, ha accompagnato la sua mano per l’eccezionale eccellenza sia dei lineamenti che della figura iconografica.La scultura lignea, un pezzo di fusto di un albero di tiglio, si fa risalire al diciottesimo secolo, la sua identificazione è legata alla clima intellettuale barocco che è magistrale di quel periodo. Il suo artefice risulta ignoto, lo rivelano i recenti restauri effettuati dal noto restauratore Gaetano Correnti che anni fa ha restaurato l’immagine sacra che il tempo e le diverse ridipinture lo avevano reso sporco e corvino.L’intervento è stato mirato soprattutto all’assemblaggio delle braccia che i numerosi trasporti processionali avevano sollecitato la loro rottura, staccandoli dalla sua sede originaria e diverse volte attaccate con della colla animale da persone inesperte.La pulitura e la coloritura originaria ha fatto sì che l’antico Crocifisso tornasse alle sue originarie fattezze scoprendone tutto il suo prodigio artistico e sacrale.

La rappresentazione scaturisce il Cristo con tutte le sue fattezze umane, l’icona lo presenta ancora in vita, con l’espressione visiva presente, occhi aperti e palpebre abbassate, chioma folta e lunga che cade sciolta sulle spalle, capo chinato, bocca aperta con le labbra manifestate in cui si intravedono le dentature di un bianco candore.

La corporatura è quella di un uomo un po’alto, rispetto al periodo della sua esecuzione, scarno e muscoloso, con la struttura muscolare del corpo si mostra clamorosamente in tensione per il momento più tragico del trapasso, dove sono presenti la ferita del costato grondante di sangue che fuoriesce anche dalle altre ferite disseminate lungo la sua fattezza corporale secondo la sublimazione esasperata dell’immagine con cui viene rappresentato il Cristo martirizzato.

Nel corpo ignudo lo ricopre un perizoma di stile baroccheggiante in sintonia con lo spazio di tempo di realizzazione, è risulta essere svolazzante e ondulato, nello stesso tempo strutturato in quella striscia indicata da sempre.

La croce, dove comunemente staziona il Crocifisso è di dimensioni un po’ più grandi, in quanto deve accogliere la scultura, di legno comune e tinteggiata di colore mogano, anch’essa restaurata è ritornata alla sua vecchia luminosità, un grande cartiglio con la scritta I.N.R.I. posizionato sull’asse principale della croce e nella parte più alta, riporta il medesimo colore del perizoma.

Molte le contraddizioni in merito all’artefice di questa sacrale opera, alcuni confrati riferiscono che un’antica memoria che il Crocifisso sia stato scolpito da uno scultore denominato il Cieco di Palermo o che sia stato trovato nel vecchio magazzino prima che fosse costruita la nuova chiesa.

Ma le due ipotesi inverosimili, non solo sono suffragate da documenti, ma data in cui sono citati i fatti o le persone sono ascrivibile ad altre date.

Una cosa certa potrebbe essere la committenza da parte dei padri Gesuiti poiché non solo si interessarono della contrazione che loro crearono, ma nella persona di un padre Gesuita, Pietro Salerno che rivide i “nuovi capitoli” nel 1663 dell’allora costituita confraternita laicale.

Oggetto di venerazione da parte dei confrati e di tutti quei devoti, per la sua magnificenza, il simulacro del “Signuruzzu” ha ricevuto parecchie attenzioni da parte di laici e religiosi, in più durante alcune manifestazioni popolari e religiose compreso la festa del “Cristo Re”, è stato presente nella mensa Eucaristica in occasione della venuta del Santo Padre Karol Wojtyla in Sicilia e organizzata ad Agrigento.
Esposto all’Albergo delle Povere in opportunità alla mostra sulle Confraternite Palermitane dell’Arcidiocesi di Palermo nel 1993, in quell’anno si organizzo a Palermo il IV Cammino delle Confraternite d’Italia.

In una opportunità di alcune “Via Crucis” cittadine organizzate dall’Arcidiocesi di Palermo, nel marzo del 1998 veniva portato in processione e si incontrava in piazza San Domenico con l’Addolorata della confraternita dei “Cassari” ed assieme raggiungevano piazza Castelnuovo per la celebrazione Eucaristica.

Recentemente per il “Giubileo delle Confraternite”, il fercolo del “Signuruzzu” conduceva il corteo delle centotrentuno confraternite palermitane con gonfaloni e con la partecipazione degli antichi fercoli processionali, dove a conclusione della manifestazione sostava per una settimana all’interno della Cattedrale.

Ordinariamente “U’ Signuruzzu” staziona all’interno del proprio oratorio, innalzato al di sopra del fercolo processionale, che viene utilizzato come altare, che attualmente non più esistente, in precedenza esisteva l’unico altare in marmi policromatici rimaneggiato con elementi recuperati dalla vicina chiesa di Santa Croce distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra mondiale.

L’oratorio, diverso dalla struttura abituale, è quasi nascosto, ma chi lo vuole rintracciare è a due passi dalla famigerata via Maqueda, a pochi passi dal Teatro Massimo, si presenta con una facciata semplice e conveniente dove si aprono due aperture una piccola per permettere di entrare e l’altra molto più grande per sopportare l’uscita del simulacro con il fercolo processionale, vi si affaccia una nicchia dove contiene un crocifisso ligneo utilizzato in precedenza per la pratica dei novizi. Anni fa, lo ricorda una targa lapidea datata 1978, la facciata è stata ridipinta secondo l’originale colore.

Il disinvolto interno, oltre ad accogliere l’effigie del Crocifisso, in due nicchie laterali dell’unica navata a destra e a sinistra, custodiscono i simulacri ottocenteschi di Maria Addolorata e dell’Immacolata Concezione, quasi a sorvegliare l’altare con il Cristo.
Inconfessato dentro una nicchia stava lì, come c’è lo descrive il Mongitore nei suoi manoscritti, prima di ogni anno per raggiungere i devoti del quartiere.

Prima di uscire i confrati lo addobbavano con il “vestiario” consistente in una corona di spine che originariamente era naturale, che si trasformò in argento per una donazione di alcuni confrati verso la fine dell’ottocento, negli anni venti la famiglia Vallecchi dona una nuova corona in argento dorato, tutto ora adottata.

Nell’ottocento al simulacro veniva posto nel costato, una riproduzione in oro, nel nostro tempo non viene più impiegata.
I chiodi della croce che sostengono il Cristo, anticamente erano originali, furono cambiati in argento dorato arricchiti da una pietra di colore granato, alla fine dell’ottocento.

Negli anni a venire al Crocifisso viene posto un “cordone” dorato “purezza e regalità” che cinge il bacino, simbolo del legazzio alla vita di Gesù, ispirazione raccolta dal saio monacale che vuol significare castità sacerdotale.

Tutto oggi la confraternita continua nella diffusione del culto per cui è nata nel lontano 1663 come congregazione e, divenuta confraternita per il ritiro degli ecclesiastici nel 1839, i laici riformulano i nuovi capitoli che furono approvati nel 1897, continuando nel suo scopo di essere una palestra delle virtù cristiane.

Formata da gente comune e da ogni ceto, nei suoi ranghi da quando si è costituita ha accolto anche nobili e professionisti, in tempi moderni, che hanno contribuito economicamente e materialmente a sostenere la confraternita, e dedicandola espressamente al SS. Salvatore.

E’ da questa data che in realtà che la confraternita assiduamente si adopera per gestire la chiesa e organizzare l’annuale festa in onore del SS. Crocifisso.

Diversi i Superiori che negli anni hanno portato avanti in collaborazione con i vari assistenti ecclesiastici che si sono avvicendati, mantenere il fervore religioso e morale della comunità confraternale, trasmettendo ai suoi componenti questo sviscerato e sentito amore che la Grazia di Dio padre Onniponte ha avuto per il suo figlio, Crocifisso per noi.
Da padre in figlio da sempre si è tramandata questa bramosità, soprattutto per l’attaccamento all’immagine del Cristo morto in croce, grandi discendenze familiari come i Vallecchi, i Lo Jacono, i Greco hanno sempre assicurato rilucente rinomanza alla confraternita.
Fedelmente attaccati a essere i primi o avere il posto riservato per il suo trasporto processionale, il congiungimento all’abitino simbolo di distinzione e di appartenenza a questo forte legame.

Portare umilmente l’Abitino di colore “rosso” cintato da un cordone di uguale colore e filettato d’oro, con il suo grande significato, i confrati decisero questo elemento cromatico perché richiama il sangue che fu versato da Cristo per la nostra redenzione, orlato d’oro segno della regalità divina.

Sul petto dell’abitino, il confrate porta un Crocifisso in legno come segno di riconoscenza e legame alla confraternita, questo dal 1975 è diventato un preciso segno di “dedizione” che la confraternita riconosce consegnando ai confrati con venticinque anni di “confessione”, il crocifisso d’argento, a quelli che da trent'anni professano “fedeltà ad essa, quello d’oro.

Alle spalle ricamata in oro si staglia la corona di spine identica a quella che solitamente porta il Crocifisso.
Il rituale processionale prevede che giorni prima della celebrazione della la festa del Crocifisso, diverse e abituali manifestazioni seguano il giorno più importante che si conclude con la processione per le vie del quartiere.

Diversi incontri eucaristici preparano spiritualmente i confrati: La vestizione con la consegna dell’abitino ai nuovi confrati dopo un periodo di noviziato.
L’affidamento della preparazione della “vara” con la destinazione dei “capi vara” e l’assegnazione dei “posti”di sollevamento da parte dei “sollevatori”.

Anticamente, non molto lontano nel tempo, tutti i confrati partecipavano alla celebrazione da “scinnuta” cioè il simulacro posto sopra l’altare veniva sceso per essere posto sulla “vara”, con solenne esaltazione che conduceva a momenti di commozione da parte di confrati e devoti.

In tempi moderni il momento più intenso è quello destinato alla “vestizione” del Crocifisso e l’apposizione del reliquiario, dopo l’esposizione, sul fercolo processionale.
Reliquario d’argento cesellato del XVIII secolo, opera dei maestri argentieri palermitani, che contiene un prezioso frammento della Santa Croce, donata alla confraternita nel secolo scorso da una famiglia devota e molto vicina alla preziosa immagine del Cristo, comunemente viene conservata nei locali della confraternita ed mostrata in momenti di glorificazione.

L’omaggio floreale al SS. Crocifisso da parte della confraternita e dei devoti da inizio al momento liturgico che si svolge nella mattinata con la solenne celebrazione eucaristica da parte del Vicario episcopale della Diocesi di Palermo.

Nel pomeriggio è il momento più atteso, gran fermento attorno al fercolo, atto preparatorio per i confrati che dopo la solenne benedizione e la recita in dialetto della “coroncina del Rosario” in onore del SS. Crocifisso si apprestano a portare esternamente la “vara”.
L’uscita del fercolo, emoziona tutti i presenti, con molta fatica i confrati portano la “vara” fuori facendosi ala tra la folla che occupa lo stretto vicolo, il gran fragore dei mortaretti e il tripudio della banda musicale si ci avvia per le strade del mandamento.

Durante il cammino “u Signuruzzu” incontra i suoi devoti e gli ammalati, ad un cenno di campanello del “Superiore” ci si ferma per scaricare la tensione e per riposarsi, mentre un confrate anziano con un ululato richiama l’attenzione di tutti, a questo servono le “giaculatorie” eseguite in dialetto palermitano che i confrati inneggiano verso l’effige.

Diverse sono le fermate durante il suo tragitto, dove si assistono a momenti di pietà popolare, davanti alle edicole votive per recitare un’implorazione, la più antica e, quella più importante è in piazza Olivella, voluta dalla confraternita, dove effettua l’ultima fermata per ringraziare il Crocifisso prima di rientrare in chiesa dopo estenuante fatica.

Edicola votiva che contiene un piccolo Crocifisso in legno, originario dei primi del novecento, dove il Cardinale Luardi concesse 100 giorni di indulgenza a chiunque recitasse una preghiera davanti alla sacra immagine, come quella scritta dai confrati per Gesù Crocifisso:

Eccomi, o mio amato e buon Gesù, che alla santissima vostra presenza prostrato, vi prego col fervore più vivo a stampare nel mio cuore sentimenti di fede,di speranza, di carità, di dolore dei miei peccati e di proponimento di non più offendervi;
mentre io con tutto l’amore, e con tutta la compassione vado considerando le vostre cinque piaghe, cominciando da ciò che disse di voi, o mio Dio, il santo profeta Davide:
“Trapassarono le mie mani e i miei piedi, contarono tutte le mie ossa
”.

La prima, molto commovente in piazza Olivella, davanti alla chiesa di Sant’Ignazio, dove il Signuruzzu viene accolto con lo sparo dei mortaretti e il volo delle bianche colombe, un istante di riflessione che il parroco introduce come richiamo sull’importanza della festa.

Le altre più rappresentative sono a piazza Regalmici, dove avviene la benedizione del Crocifisso alla città, e in via San Basilio dove il fercolo sosta per un periodo un po’ più lungo davanti ad un’altra edicola votiva dedicata al Crocifisso, dove si svolge un momento di preghiera e si assiste ad un breve spettacolo pirotecnico che si manifesta da un terrazzo privato che alcuni fedeli in segno di devozione mettono a disposizione per la sacra immagine.

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